Qual è l’origine de I Promessi Sposi? Com’è avvenuta la genesi del romanzo più famoso di Alessandro Manzoni? L’idea è legata ad alcune necessità sentite dall’autore, ma molto interessanti sono gli spunti da cui lo stesso è partito per la sua creazione.
L’idea del romanzo All’origine del romano de I Promessi Sposi possiamo senza dubbio inserire tutto quel lungo discorrere che si fece nell’800 di quel nuovo bisogno di fare della letteratura più adatta alle nuove esigenze del pubblico: come Walter Scott stava insegnando, c’era la necessità di offrire ai lettori qualcosa che unisse insieme lo svago alla cultura, il divertimento all’insegnamento di qualcosa. Alessandro Manzoni, dopo aver letto l’Ivanhoe di Walter Scott una prima volta ed esserne stato poco colpito, lo lesse una seconda a distanza di tempo e ne trasse, sembra, proprio quello spunto da cui scaturì l’idea stessa di una romanzo vivace. Nel 1821 il giovane scrittore milanese si ritirò nella villa di Brusuglio portando con se due importanti opere che furono fondamentali per la nascita de I Promessi Sposi: si tratta de l’ Historiae Patriae di Giuseppe Ripamonti e le opere politiche-economiche di Melchiorre Gioa. Cosa significano per il Manzoni questi due titoli? Si legano ineluttabilmente al luogo in cui la storia sarà ambientata, ossia la Lombardia, e il periodo storico in cui la vicenda viene contestualizzata, ossia il Seicento. La scelta, quindi, era comunque caduta sulla terra d’origine del Manzoni stesso, quella che conosceva meglio e di cui sapeva bene tutti gli accadimenti passati; inoltre il seicento veniva considerato dall’autore come un periodo straordinario soprattutto per la ricchezza di avvenimenti e di fatti storici di una certa rilevanza mentre, da un punto di vista culturale, rappresentava un momento fortemente caratterizzato da tutti gli elementi di cui aveva bisogno: l’ignoranza, la corruzione,la stoltezza. Insomma, il Seicento gli appariva come un secolo molto ricco di stridenti contrasti e di profonde contraddizioni. La peste che diverrà protagonista nella seconda parte del suo romanzo viene ispirata dall’epidemia descritta nell’ Historiae Patriae da Ripamonti e che aveva devastato Milano proprio nel 1630, mentre nello scritto di Melchiorre Gioia aveva individuato io motivo su cui basò la storia dei due promessi sposi. Si tratta di presunte violenze che venivano effettivamente perpetrate per impedire i matrimoni. Le parole vere del Manzoni scritte in una lettera inviata all’amico Fauriel per presentargli la sua opera: “ Il romanzo vuole essere la rappresentazione di una determinata età della società per mezzo di personaggi e fatti tanto simili alla realtà…Allorché vi sono introdotti avvenimenti e personaggi storici, ritengo sia necessario rappresentarli nel massimo rispetto della realtà storica”.
La prima stesura: “Fermo e Lucia” Dopo aver scelto il tempo e i luoghi di ambientazione, il 24 Aprile del 1821 Alessandro Manzoni iniziò la stesura che terminò il 17 settembre del 1823. Naturalmente a lavoro terminato, che portava il nome dei due protagonisti, l’autore ne chiese il parere ad alcuni amici per ottenerne delle osservazioni. E queste non si fecero certamente attendere. Pare che gli amici letterari evidenziarono come le varie digressioni inserite nella narrazione rallentavano un po’ troppo lo svolgersi degli eventi, come ad esempio la vita di personaggi secondari che avevano preso le fattezze di piccoli romanzi nel romanzo. Inoltre venne anche sottolineata la tinta troppo forte e cupa di alcuni momenti della narrazione, come alcune descrizioni della peste e la morte dello stesso Don Rodrigo.
La seconda stesura: “I Promessi Sposi” Accettate le critiche Manzoni si rimise al lavoro per dare più equilibrio allo stile del romanzo interno, per ridurlo un po’ anche di pagine e per eliminare alcuni dei passaggi troppo crudi che erano stati inseriti: la nuova edizione venne lavorata tra il 1823 e il 1824 vide la luce con il nuovo titolo.
Accoglienza del pubblico e della critica All’epoca Alessandro Manzoni era già divenuto un letterato di fama, così quando la notizia che stava per pubblicare un romanzo si diffuse anche l’attesa tra il pubblico salì rapidamente. Nonostante l’autore temesse molto la critica e la delusione dei lettori che lo avevano sempre apprezzato, in pochi giorni il suo lavoro venne venduto in ben 600 copie, u numero molto considerevole per l’epoca; successivamente si moltiplicarono anche le pubblicazioni non gestite direttamente dall’autore e le traduzioni in lingue estere tra cui l’inglese, il francese e il tedesco. Gli unici a storcere il naso furono quei critici che non riuscivano ad accettare come un autore importante e di qualità come lui avesse potuto abbassarsi a produrre un romanzo che aveva come protagonisti due semplici montanari.
Il problema della lingua. Ma, a dire la verità, anche Alessandro Manzoni aveva un motivo di insoddisfazione che stava portandolo a ripensare sul serio ad intervenire nuovamente sull’opera appena terminata. L’autore rifletteva sul fatto che avendo dovuto narrare la vita di popolani era stato necessario abbandonare il linguaggio aulico delle opere che la produzione letteraria classica richiedeva per andare alla ricerca di forme espressive più comprensibili anche ad un pubblico più vasto. Così, per dare voce ai sentimenti dei suoi semplici personaggi, il Manzoni aveva attinto un po’ dal Toscano, dal Francese, dal Lombardo producendo un miscuglio che non troppo bene si accoppiava anche con alcune forme che lui stesso aveva inventato arrangiandosi un po’. E questo, ovviamente, non era sfuggito ai lettori, ma soprattutto, ai critici puristi amanti della letteratura classica e dei suoi scritti precedenti. Il ragionamento che lo scrittore fece per procedere alla ricerca della nuova lingua, quella italiana, che poteva essere utilizzata per riscrivere il romanzo, si legava al fatto che ogni lingua non rimane uguale e immutato nel tempo, ma evolve insieme alle persone e ai popoli che lo parlano. Manzoni sentiva la necessità di cercare quel dialetto locale che si era formato dalla storpiatura del latino, la lingua madre, che poteva esser compreso dalla maggior parte dei lettori italiani a prescindere dalla zona della penisola in cui vivessero. E la scelta cadde sul fiorentino colto, quello parlato nei dintorni di Firenze che pareva essere la forma più adatta per essere capita da tutti.
L’Edizione Quaranta Nel 1827 Manzoni si trasferì a Firenze proprio con l’intento di compiere tutti gli aggiustamenti linguistici di cui il romanzo aveva bisogno. Naturalmente l’autore si confrontò con diversi letterati ed esperti toscani, ma la stesura della nuova versione del romanzo andò tanto a rilento che la sua pubblicazione partì solo nel 1840. Manzoni aveva deciso di finanziare e gestire personalmente la pubblicazione che terminò nel 1842 con l’inserimento nell’edizione anche delle illustrazioni , in appendice, “La storia della colonna infame”. Questa edizione, che è conosciuta con il nome di Quaranta o Quarantana, destò ancora sorpresa e scalpore nonostante era evidente la maggiore finezza di linguaggio raggiunta.
Il Romanzo: una sintesi di Vero, Bene, Bello. Nel romanzo de “I Promessi Sposi” invenzione e realtà sono fuse insieme con mirabile precisione ed accortezza. L’autore vi ha creato un mondo fatto di personaggi che è possibile sentire e vedere quasi, per quanto sono stati creati bene e realisticamente. La realtà narrata ha una duplice dimensione fatta di umanità e storia perché i personaggi hanno le idee, le virtù e i pregiudizi proprio della Lombardia del’600, ma contemporaneamente hanno una caratterizzazione umana molto forte. Nel romanzo storico così creato dal Manzoni non c’è contrasto tra storia e invenzione che hanno entrambe un fondo di verità: la storia e verrà perché legata a fatti davvero avvenuti, mentre l’invenzione è vera nei concetti e nei significati legati alla realtà che riesce ad esprimere. Inoltre l’opera è intrisa anche dei valori del bene e del bello: l’uno è il carattere di fondo che guida la lotta dei poveri personaggi contro la forza che il male ha in espressioni quali la peste e l’ingiustizia, mentre il bello è insito nell’innocenza e nella purezza degli animi semplici in opposizione alla corruzione e alla sfrontatezza di uomini potenti e arroganti. |